Adriano Visconti, Asso dei cieli


Adriano Visconti, Asso dei cieli


di Cristina Di Giorgi


Adriano Visconti è un Asso dell'aviazione italiana, che ha combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale prima nella Regia Aeronautica e poi, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, nell'Aviazione della Repubblica Sociale Italiana.
Nato l'11 novembre 1915 da Galeazzo Visconti di Lampugnano e Cecilia Dall'Aglio, Adriano ha vissuto la sua infanzia a Tripoli, dove ha respirato fin da bambino patriottismo e amore per l'Italia.

Dopo aver portato a termine con successo gli studi, essendo appassionato di aerei e di volo il giovane Visconti nel 1935 chiede ed ottiene di essere ammesso alla Regia Accademia Aeronautica di Caserta come allievo ufficiale.
I suoi insegnanti lo descrivono come un ragazzo dal “carattere franco e leale. Esuberante. Corretto” che “si applica proficuamente allo studio”, con un'indole “generosa e intransigente insieme” che “lascia intravedere la tempra di un combattente coraggioso, ostinato e poco incline al compromesso”.

Uscito dall'Accademia con ottimi voti, nel 1939 ottiene la qualifica di pilota militare e subito dopo viene assegnato, con il grado di sottotenente, al 50° Stormo Assalto, di stanza a Berka (Bengasi).
Adriano prende dunque servizio come pilota d'assalto, anche se per le sue attitudini avrebbe dovuto essere assegnato alla specialità della Caccia. Il 2 ottobre 1939 compie il primo volo, al quale seguono vari mesi di addestramento.

Nel frattempo la situazione internazionale è degenerata: nel settembre 1939 è infatti scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, nella quale l'Italia entra il 10 giugno 1940.
Pochi giorni dopo (il 16 giugno), Adriano viene trasferito alla 23° Squadriglia del 2° Gruppo Aviazione Presidio coloniale, incaricata di pattugliare le linee di confine con compiti di sorveglianza e ricognizione. In questo periodo Visconti, per maturata anzianità di servizio, viene promosso tenente.

Già durante le prime missioni belliche il giovane aviatore dimostra coraggio e dedizione.  E si merita una prima decorazione al Valore Militare: una medaglia di Bronzo, che gli venne conferita con la seguente motivazione: “Ufficiale pilota di grande calma e sangue freddo, provato in numerose e rischiose ricognizioni e in audaci attacchi contro autoblinde nemiche, durante una missione bellica veniva attaccato da tre caccia nemici, che danneggiavano gravemente il velivolo. Con abile manovra atterrava in un campo di fortuna organizzando subito, con spirito combattivo, la strenua difesa dell'equipaggio. Cielo di Sidi Omar – Amseat – Sidi Azeis, 11-14 giugno 1940”.

Poco dopo arriva per Visconti l'ordine di tornare al 50° Stormo d'assalto, in forza al quale riprende i voli di guerra e si distingue per intraprendenza e valore, meritandosi una seconda medaglia “sul campo”, questa volta d'Argento. Questa la motivazione dell'onorificenza: “Pilota d'assalto, durante un'azione di spezzonamento e mitragliamento contro mezzi corazzati nemici, attaccato da numerosi velivoli, persisteva nell'azione sino al completo successo. Nonostante il rabbioso fuoco di un caccia che lo seguiva da presso, si addentrava in territorio avversario recando l'offesa contro altre autoblindo avvistate e riuscendo, con le ultime munizioni, a distruggerne una in fiamme. In successive operazioni contro mezzi meccanizzati nemici, riconfermava le ottime doti di combattente audace ed aggressivo, infliggendo al nemico gravi perdite e rientrando spesso alla base con il velivolo gravemente colpito. Cielo della Marmarica, giugno-settembre 1940 .

A proposito di come il giovane tenente viveva quei giorni, il nipote Gianni Tripodi dice che “le emozioni e le prove morali ed emotive alle quali Adriano era sottoposto mi sono state dettagliatamente raccontate da mia nonna Cecilia, che raccoglieva gli sfoghi e le opinioni del figlio, che le confidava, non appena gli era possibile, i sentimenti da lui provati nel corso degli avvenimenti di cui lui e i suoi compagni erano protagonisti. Lei, con la dolcezza e la forza di cui era dotata, infondeva in lui la speranza di un domani vittorioso”.

Nel frattempo la base del Gruppo in cui opera Visconti viene trasferita a Tobruk, da dove partono in quei giorni diverse missioni, condotte sempre con astuzia e coraggio nonostante diversi problemi (scarsità di risorse materiali e incremento dell'aggressività e frequenza delle incursioni nemiche).

In questo difficile contesto il comportamento di Adriano Visconti risulta esemplare, al punto che i suoi superiori lo propongono per una nuova decorazione al Valore (una medaglia d'Argento) che gli viene conferita con questa motivazione: “Capo pattuglia di formazioni d'assalto lanciate, durante aspra battaglia, a mitragliare e spezzonare forti messe meccanizzate nemiche, partecipava con impetuoso, eroico slancio a ripetute azioni a volo radente, contribuendo a distruggere e ad immobilizzare numerose autoblindo e carri armati avversari, più volte rientrando alla base con l'apparecchio colpito dalla violenta reazione contraerea. Alto esempio di coraggio, dedizione assoluta al dovere e superbo sprezzo del pericolo. Cielo di Sidi Barrani – Buq Buq – Fayres, 9-16 dicembre 1940”.

All'inizio del 1941 il giovane tenente viene trasferito alla 76° Squadriglia del 7° Gruppo Caccia terrestre, dove ha modo di esprimere meglio il suo spirito libero ed aggressivo, le sue abilità tecniche e il suo coraggio. A metà dicembre dello stesso anno Visconti passa alla 86° Squadriglia, alla quale erano stati assegnati due apparecchi opportunamente modificati per la ricognizione fotografica.

Il 1941 si conclude per Adriano con un bilancio di 115 ore di volo, di cui più di 72 in operazioni belliche. Il coraggioso pilota non si è dunque per niente risparmiato: “partecipò nei cieli di Libia e del Mediterraneo a quotidiani combattimenti aerei, eseguì mitragliamenti e spezzonamenti sulle basi di Malta, intervenne nelle battaglie navali per vigili scorte e lontane ricognizioni, abbatté velivoli da caccia e da bombardamento, distrusse e danneggiò mezzi corazzati terrestri1.


1   Estratto di un documento con note biografiche su Adriano Visconti rinvenuto nella documentazione conservata presso l'Archivio storico dell'Aeronautica militare.


L'impegno del giovane aviatore prosegue nel 1942. In tale anno, tra le altre operazioni effettuate, risulta particolarmente rilevante la cosiddetta “battaglia di Mezzo giugno”, iniziata il 14 di quel mese e proseguita per un paio di giorni. Nel corso della stessa, Visconti ottiene la sua prima vittoria individuale e, per il notevole impegno profuso, viene decorato con una medaglia di Bronzo al Valore Militare. Questa la motivazione dell'onorificenza: “Partecipava quale pilota da caccia alla luminosa vittoria dell'ala d'Italia nei giorni 14 e 15 giugno 1942 nel Mediterraneo. Durante lo svolgimento di una battaglia navale, si prodigava dall'alba al tramonto in voli di allarme, di scorta e di ricognizione, abbattendo un velivolo da combattimento avversario e recando preziose notizie sui movimenti delle unità navali nemiche. Cielo del Mediterraneo, 14 – 15 giugno 1942”.

Circa due mesi dopo (agosto 1942), Visconti nel corso di una missione di ricognizione ingaggia un furioso combattimento con quattro aerei inglesi, riuscendo ad abbatterne due e mettendo in fuga gli altri. Per tale azione viene proposto per una medaglia d'Argento al valore militare “sul campo”, che gli venne conferita con la seguente motivazione: “Valoroso pilota da caccia, già distintosi in numerose azioni di guerra, durante un volo di scorta ad un apparecchio da ricognizione fotografica operante su unità navali nemiche, attaccava da solo quattro caccia avversari e, dopo vivacissimo combattimento, ne abbatteva due in fiamme e costringeva gli altri alla fuga, permettendo al ricognitore di svolgere regolarmente la sua missione. Cielo del Mediterraneo, 13 agosto 1942”.

Nel 1943 Adriano è promosso capitano (18 marzo) ed è destinato al comando 76° Squadriglia, con la quale partecipa alla campagna di Tunisia. Per le sue gesta e per il coraggio ancora una volta dimostrato, a Visconti viene conferita una Medaglia d'Argento al valore militare “sul campo” con la seguente motivazione: “Valoroso comandante di squadriglia da caccia, già distintosi in precedenti periodi operativi, partecipava nel breve volgere di tempo durante l'attuale ciclo a quattro violenti combattimenti, nello svolgersi dei quali confermava le sue doti di abile e valoroso combattente e durante i quali abbatteva sicuramente un velivolo, uno probabile e ne danneggiava altri sei. Il 29 aprile, mentre con i suoi gregari faceva parte di un'esigua formazione attaccante oltre sessanta velivoli da caccia di protezione a bombardieri che tentavano un'azione contro naviglio nazionale, li attaccava con ardimento e spirito aggressivo. Col micidiale fuoco delle proprie armi ne sconvolgeva la formazione, collaborando all'abbattimento di numerosi velivoli nemici ed alla realizzazione di una fulgida vittoria dell'ala italiana che veniva citata all'ordine del giorno. Tunisia, 29 aprile 1943”.

Quando, il 7 maggio, le truppe angloamericane entrano a Tunisi, viene deciso il rientro in Patria dei pochi aerei italiani ancora efficienti. Su ognuno di essi, oltre al pilota (estratto a sorte), sale anche un passeggero. Visconti decolla per ultimo all'alba dell'11 maggio.
La sua guerra prosegue nel 150° Gruppo ed in seguito, nel luglio 1943, gli viene affidato il comando di un reparto speciale di nuova costituzione: la 310° Squadriglia Caccia Aerofotografica, con base a Guidonia.

Nel frattempo le situazione bellica per Italia e Germania è rapidamente peggiorata e, quanto alla politica, il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo ha deposto Mussolini. Il nuovo capo del Governo italiano è il maresciallo Pietro Badoglio, il quale dichiara: “la guerra continua”.

Dal canto suo la 310° Squadriglia di Visconti, seppure equipaggiata per la ricognizione, non manca di operare in combattimento. Inoltre, il 25 agosto, una sezione del reparto, comandata direttamente da Visconti, viene dislocata in Sardegna per compiere, operando in completa autonomia, ricognizioni su Tunisia, Algeria, canale di Sicilia e Malta.
L'8 settembre 1943 viene annunciato che l'Italia ha firmato un armistizio con gli Alleati. Appresa la notizia Adriano Visconti tenta senza successo di mettersi in contatto con il Comando. Rimasto dunque, come molti, senza ordini, decide di rientrare alla base. Non volendo lasciare il personale abbandonato a sé stesso in Sardegna, dopo essersi consultato con i suoi uomini Visconti decide di smontare dagli aerei quanto non strettamente necessario per il volo. E fa salire, su ogni veicolo, uno o due passeggeri. Il decollo avviene il 9 settembre, in un cielo parzialmente nuvoloso ma senza vento e con buona visibilità. Quindi, dopo un volo di circa 700 chilometri effettuato a bassa quota ed in formazione allargata per ridurre la probabilità di essere individuati, i tre Macchi monoposto atterrano a Guidonia tra lo stupore generale. Che aumenta non poco quando dagli aerei scendono ben undici persone.
Nel frattempo Mussolini, che era stato posto agli arresti a Campo Imperatore (sul Gran Sasso), viene liberato dai tedeschi. E poco dopo (18 settembre), dai microfoni di Radio Monaco, annuncia l'imminente costituzione della Repubblica Sociale Italiana, spiegando che lo scopo è di “
riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e degli altri alleati; preparare senza indugio la riorganizzazione delle nostre forze armate”, oltre che quello di “riscattare con il combattimento e con il sangue l'onore nazionale trascinato nel fango dal tradimento2


2   cfr. Mussolini l'alleato, II: La guerra civile 1943-1945, R. De Felice, Ed. Einaudi 1997). Il governo della RSI viene poi ufficialmente costituito a Roma il 23 settembre. La prima riunione, preceduta da Mussolini (che nel frattempo era rientrato in Italia), si tiene il 27 settembre alla Rocca delle Caminate.


Il nuovo Stato, tra non poche difficoltà (tecniche, logistiche e anche politiche) inizia quindi ad organizzare le proprie Forze Armate, costituite ufficialmente con decreto legge il 27 ottobre 1943. A ricoprire la carica di Ministro della Difesa viene chiamato il maresciallo Rodolfo Graziani e per ogni Arma (Esercito, Marina ed Aeronautica) è nominato un sottosegretario. Alla guida dell'aviazione arriva il tenente colonnello Ernesto Botto (soprannominato “Gamba di Ferro”), che il 12 ottobre legge alla radio un appello appassionato rivolto a tutti gli aviatori, invitandoli a rientrare nei ranghi per continuare a combattere. Rispondono in molti.


3   Tale soprannome il nuovo capo dell'Aeronautica Repubblicana se l'era guadagnato durante la guerra di Spagna. Decorato con la Medaglia d'Oro al Valore militare, Botto durante un combattimento aereo era rimasto ferito ad una gamba, che poi gli venne amputata. Ma non smise di combattere: con l'ausilio di una protesi, tornò infatti a volare.


Viene dunque costituita l'Aviazione Nazionale Repubblicana, composta da due Gruppi Caccia, due Trasporto e un Gruppo Aerosiluranti. Tra i primi ad aderire c'è Adriano Visconti, con motivazioni simili alla maggior parte dei suoi commilitoni. Ovvero difesa delle città italiane dai bombardamenti alleati, rispetto per la memoria dei Caduti e volontà di difendere l'Onore dell’Italia 4.


4  Lo storico Renzo De Felice, riferendosi agli aviatori, ne sottolinea il “forte spirito di corpo inteso soprattutto in senso morale, che dava loro la convinzione che al 'disonore' dell'8 settembre fosse necessario reagire continuando a combattere al fianco dell'alleato (che pure molti non amavano affatto)”. E aggiunge che oltre a questo c'erano per loro ulteriori motivazioni morali: “quella di non tradire il sacrificio dei commilitoni caduti combattendo contro quelli che fino all'8 settembre erano stati i nemici e che la monarchia avrebbe voluto fossero invece considerati amici e liberatori” e quella di “assicurare la difesa del territorio e delle popolazioni dalle incursioni nemiche, astenendosi al tempo stesso da azioni al sud” (cfr. Mussolini l'alleato, vol.II: la guerra civile 1943 – 1945, De Felice R. Ed. Einaudi 1997).


Tra le formazioni dell'Aviazione Repubblicana, la prima che torna a combattere è il 1° Gruppo Caccia, di cui fa parte, con il ruolo di capitano della Squadriglia “Asso di Bastoni”, Adriano Visconti. Dotato di personalità carismatica e trascinatrice, l'ufficiale era riuscito a raccogliere intorno a sé numerosi aviatori, trasmettendo a tutti il suo entusiasmo e il suo spirito combattivo.

La formazione viene inizialmente stanziata sul campo di Mirafiori (Torino). E' dunque da qui che il 3 gennaio 1944 Visconti decolla con la sua squadriglia e ottiene, dopo un aspro combattimento, la prima vittoria dell'ANR (quattro aerei nemici abbattuti). Il giorno successivo, anche grazie all'impresa compiuta, venne emanato un ordine in cui si dispone che sui velivoli utilizzati dagli italiani siano apposte precise insegne di nazionalità atte anche a sottolinearne l'indipendenza dall'alleato germanico.

Alla fine del mese di gennaio il 1° Gruppo Caccia venne trasferito in Veneto e dislocato tra Campoformido (Udine), Aviano, Pozzuolo del Friuli e Osoppo. Sedi queste che nei primi mesi del 1944 furono ripetutamente bombardate dagli angloamericani, con conseguenti notevoli difficoltà per gli aviatori dell'ANR. Che comunque continuarono coraggiosamente a combattere per difendere i cieli del Nord Italia, con vittorie e perdite. Tra queste ultime, quella dell'aereo del comandante del Gruppo, abbattuto a fine febbraio: la guida dell'intera formazione viene quindi assegnata temporaneamente ad Adriano Visconti.
Nel frattempo nella Repubblica Sociale Italiana si stava consumando un'aspra contesa tra chi metteva al primo posto la fedeltà al fascismo e chi voleva al contrario mantenere le Forze Armate lontane dalla politica. A farne le spese è tra gli altri Ernesto Botto che, assai intransigente riguardo alle intromissioni delle classi dirigenti repubblicane e tedesche in ambito militare, è costretto a lasciare la guida dell'Aeronautica.
I piloti comunque, tra mille difficoltà, continuavano a combattere. Mirabile, tra gli altri, lo scontro dell'11 marzo nei cieli del Veneto, conclusosi con l'abbattimento di otto aerei nemici (uno dei quali attribuito a Visconti) ma anche, purtroppo, con la perdita di quattro velivoli italiani.
Alla fine di aprile, dopo diverse altre missioni, il 1° Gruppo Caccia viene trasferito a Reggio Emilia, dato che l'aeroporto di Campoformido era stato ripetutamente bombardato dagli angloamericani. Anche dalla nuova sede operativa si susseguono numerose partenze, seguite da combattimenti in cui gli uomini di Visconti (promosso Maggiore per meriti di guerra) non cessano di dimostrare il loro valore.
Nel frattempo, quanto alla “vita da campo”, Mario Montano ricorda che “
il maggiore Visconti dispose che alla mensa non dovevano esserci più differenze di trattamento, per cui si videro ufficiali anziani, novellini, sottufficiali sia piloti che specialisti, tutti seduti ad un'unica tavola, senza distinzione di grado5.  Lo spirito di gruppo è dunque molto forte, anche grazie alla personalità e all'esempio del comandante: “Visconti è sempre personalmente alla guida del suo Reparto. Nelle decine e decine di combattimenti contro le strapotenti formazioni alleate, i suoi piloti lo seguono con assoluta fiducia anche se le perdite assottigliano i ranghi. Sono continue ferite al suo cuore di uomo: ogni pilota che non ritorna dal combattimento è un amico che deve piangere in silenzio6.


5   cfr. Mario Montano, In cielo l'inferno, Ed. Novantico 2014. 

6   cfr. “Mirate al petto, vigliacchi!” gridò l'eroico maggiore Visconti, Il Secolo d'Italia, 28/04/1957. 


Le continue perdite di uomini e anche di mezzi contribuiscono a provocare in Visconti e nei suoi uomini un profondo malcontento, destinato a sfociare in una vera e propria crisi: il comandante del 1° Gruppo, infatti, denuncia apertamente il ritardo nel rimpiazzo dei piloti caduti e la progressiva diminuzione del numero di velivoli efficienti a disposizione, causato secondo lui anche dalle mancanze delle autorità preposte all'approvvigionamento del materiale bellico. In un documento presentato a nome di tutti i componenti del Gruppo, Visconti precisa le richieste dei combattenti. Ovvero netta scissione tra politica e Forze Armate, revisione dell'organizzazione interna dell'Arma aeronautica e chiarimento dei rapporti con i tedeschi.

Il risultato della protesta non è però quello sperato: i “ribelli” vengono infatti in parte congedati, in parte trasferiti ed in parte mandati in licenza obbligatoria. Tra questi ultimi anche Adriano Visconti, che dunque cede momentaneamente il comando di quel che restava del 1° Gruppo, nel frattempo trasferito nella base di Vicenza.

Alla fine di luglio comunque Adriano Visconti viene richiamato dalla licenza e assume nuovamente la guida del Gruppo, “cercando come sempre di rimediare a tutto con una abnegazione e una generosità senza limiti. Per me e per tutti i piloti rimasti - scrive Giulio Lazzati - egli è ormai indispensabile. E sa combattere7.


7   cfr. G.Lazzati, Ali nella tragedia. Gli aviatori italiani dopo l'8 settembre, Ed. Mursia 1970.


Poco dopo (agosto 1944), si consuma una nuova crisi estremamente grave: i tedeschi, che miravano ad incorporare gli italiani nell'aviazione germanica, circondano gli aeroporti e le sedi in cui erano dislocati i gruppi dell'ANR. Molti ufficiali e piloti, Visconti in primis, si oppongono nettamente all'iniziativa. E riescono a sventarla: “Nel momento in cui smettiamo la divisa italiana non c'è motivo di indossarne un'altra, abbiamo finito di combattere” dice in proposito il comandante del 1° Gruppo Caccia. L'operazione tedesca, sebbene fallita, ha comunque come seria conseguenza il blocco per diversi mesi delle operazioni belliche.

Quanto al reparto guidato da Visconti, dopo i necessari chiarimenti con l'alleato tedesco e la riorganizzazione dell'Aviazione della RSI, un cospicuo contingente di piloti e personale viene mandato in Germania per addestrarsi sui Messerschmitt. Rientrato in Italia a metà di gennaio 1945, il personale del 1° Gruppo Caccia (schierato tra Lonate Pozzolo, Malpensa, Gallarate e Cardano al Campo) riorende le operazioni di difesa dei cieli della Patria.

Tra le missioni effettuate in questi ultimi mesi di guerra, di particolare rilievo quella del 14 marzo, in cui l'intero Gruppo sostiene un duro combattimento aereo nei cieli della Lombardia, durante il quale viene tra l'altro abbattuto l'aereo di Adriano Visconti. Il maggiore, ferito al braccio e al volto, riesce a salvarsi lanciandosi con il paracadute. Valgono, come riconoscimento del coraggio e del rispetto che Visconti seppe meritarsi anche presso il nemico, le parole del pilota americano che riuscì a vincere il duello aereo ingaggiato con lui quel 14 marzo. Come riportato da Ferdinando D'Amico e Gabriele Valentini nel loro articolo sul mensile Jp4, quando Eddy venne a conoscenza dell'identità del suo nemico disse: “Non sapevo di avere abbattuto un asso italiano, ma sapevo che si doveva trattare di un uomo coraggioso! La decisione di attaccarmi frontalmente richiedeva una precisa valutazione del rischio e solo un grande pilota avrebbe potuto scegliere quel rischio. Io sono solo stato più fortunato di lui. Sono contento di non averlo ucciso”.

Il conflitto comunque ormai era alla fine: la situazione militare, per italiani e tedeschi, era infatti rapidamente precipitata. Sui cieli dell'Italia settentrionale arrivavano continuamente nuove e sempre più numerose formazioni aeree alleate, che gli ormai stremati aviatori italiani non riuscivano quasi più a contrastare. Il massacrante ciclo operativo, le continue perdite di piloti ed aerei e la perdurante crisi di carburante che limitava drasticamente l'attività rendevano infatti sempre più problematico il continuare ad opporsi alla superiorità materiale del nemico.

Consapevoli di una ormai prossima cessazione delle ostilità, Adriano Visconti e i suoi ufficiali avevano discusso sul da farsi: l'idea era quella di attenere in armi l'arrivo degli alleati e di arrendersi a loro, essendo le formazioni partigiane ritenute prive dello status di forze combattenti. Del resto dalla sua costituzione fino a quel difficile periodo “l'attività del 1° Gruppo era stata esclusivamente militare, di difesa attiva di tutto il patrimonio italiano, mobile e immobile (città, porti, strade, ferrovie, ponti, opere pubbliche comunque intese) e della vita dei cittadini italiani. Esclusa, quindi, qualsiasi altra attività militare (se non quella citata) o politica tendente a sostenere il governo. In particolare: esclusa qualsiasi operazione contro i partigiani, non potendosi intendere come tali le misure di sicurezza e gli apprestamenti di difesa a protezione del personale e del materiale di volo8.


8    Testimonianza del capitano Giuseppe Robetto, comandante della 1° Squadriglia (cfr. G. Pisanò,Storia delle FF AA della Rsi 1943 – 1945, Ed. FPE 1967).


Nei giorni a cavallo del 25 aprile Adriano Visconti, onde garantirne la sicurezza, aveva concentrato il personale nell'unica sede di Gallarate, dove si pensava di assestarsi a difesa in attesa dell'arrivo degli angloamericani. In un clima tesissimo, vengono avviate trattative per la resa, alle quali prendono parte esponenti partigiani di diversa estrazione politica e incaricati della Regia Aeronautica, del governo del Sud e del Comitato di liberazione nazionale.

Il maggiore Visconti, le cui priorità sono evitare spargimenti di sangue e avere garanzia di salvezza per il personale del Gruppo, accetta di firmare il documento di resa che gli viene consegnato già sottoscritto dagli esponenti della Resistenza, del CLN e della Regia Aeronautica.

E' il 28 aprile 1945. La mattina successiva, dopo un toccante discorso del comandante Visconti 9, il 1° Gruppo Caccia viene ufficialmente sciolto. Poco dopo la maggior parte di sottufficiali e truppa vengono lasciati andare mentre altri, insieme a Visconti e agli ufficiali, armati, sono condotti a Milano.


9   Adriano Visconti nel suo discorso lodò e ringraziò tutti per il valore dimostrato nei momenti più difficili, per l'abnegazione nel lavoro sempre pesante e rischioso, per la disciplina assoluta. Disse che la Patria, tanto profondamente ferita e straziata, avrebbe ancora avuto bisogno in pace, come ne aveva avuto in guerra, dell'opera di tutti per la ricostruzione. Poi ricordò i Caduti, i migliori fra tutti, dicendo che nella loro memoria tutti avrebbero dovuto lavorare per la resurrezione dell'Italia. Infine riconobbe che la guerra era perduta ma che il 1° Gruppo caccia aveva mantenuto fino all'ultimo il suo onore militare. E si assunse personalmente ogni responsabilità per decisioni e azioni dei suoi uomini fino a quel momento. Subito dopo chiamò il Saluto all'Italia, al quale tutti risposero urlando ITALIA!. Infine venne lanciato, per l'ultima volta, il grido di guerra dell'Asso di Bastoni.


Giunti alle porte del capoluogo lombardo, i non graduati vengono fatti allontanare e per il comandante e gli ufficiali si apre il portone della caserma del Savoia Cavalleria (in via Vincenzo Monti), che in quei giorni era la sede delle brigate partigiane garibaldine “Redi” e “Rocco”. Subito dopo l'arrivo, anche il cappellano don Botto, vestito con l'abito talare, è lasciato libero. Gli altri prigionieri sono invece portati in uno stanzone vuoto al primo piano dell'edificio. Qui, nonostante gli accordi presi, vengono costretti a deporre le armi. Verso le 13 un partigiano si affaccia sulla soglia e chiama per nome il maggiore Visconti ordinandogli di seguirlo. Il suo aiutante maggiore Valerio Stefanini si avvicina per accompagnarlo. “Sarà il solito interrogatorio” dice Visconti, ancora convinto della validità del patto sottoscritto. Così non è: poco dopo, infatti, si odono alcune raffiche di mitra.

Stando a quanto è stato possibile ricostruire in seguito grazie ad un testimone che aveva assistito al fatto, il comandante del 1° Gruppo Caccia e il suo fedele aiutante di campo sono stati raggiunti alle spalle da colpi di fucile mitragliatore mentre stavano attraversando il cortile della caserma. Un'esecuzione in piena regola, compiuta nonostante il patto di resa sottoscritto poche ore prima.

Resosi forse conto di quel che stava accadendo, Stefanini tenta di proteggere Visconti facendogli scudo con il suo corpo. Inutilmente: la prima raffica lo colpisce in pieno ed il giovane e altruista aiutante maggiore muore sul colpo. Le raffiche successive raggiungono poi il Maggiore, che ha appena il tempo di voltarsi e gridare: “Mirate al petto, vigliacchi!”. Poi cade ferito gravemente e viene finito con due colpi di pistola alla nuca.

I corpi dei due ufficiali vennero sepolti nel cortile della caserma sotto pochi palmi di terra. In seguito furono prelevati dal cappellano don Botto e da altri e sepolti nel Campo XV del cimitero di Musocco, in una tomba fatta erigere per loro dai fedeli superstiti del 1° Gruppo. In seguito (27 aprile 1957) le salme di Visconti e Stefanini vennero traslati nel Campo X, accanto agli altri Caduti della RSI dove ora riposano, fianco a fianco per l'eternità.

Come emerge da queste pagine, Adriano Visconti è stato un Eroe di guerra che, decorato con sei medaglie d'argento, due di bronzo e due croci tedesche, nel corso della sua carriera ha abbattuto ben 26 aerei nemici. Non adeguatamente ricordato in Italia, il Maggiore ha avuto però diversi riconoscimenti all'Estero: tra essi l'inserimento, con tanto di ritratto e pannello biografico, nella galleria degli Assi mondiali dell'aviazione allestita nello Smithsonian National Air and Space Museum di Washington.

Cristina Di Giorgi (1972): giornalista pubblicista e scrittrice, ha pubblicato il saggio “Note Alternative” (Edizioni Trecento 2008), la biografia “Teseo Tesei. All'assalto della gloria” (Idrovolante edizioni, 2018). E' inoltre coautrice di “Il nostro canto libero” (Castelvecchi 2010) e di “Cantando Giovinezza” (Ritter 2016) e curatrice di “La guerra tradita. Diario dal fronte di un ufficiale di artiglieria” di Luciano Berti (Mursia 2016).

Per la collana “Sedici Raggi” (Idrovolante edizioni) ha curato la pubblicazione di “Cannoni e Ciliegi in fiore” di Mario Appelius (Idrovolante Edizioni, 2017). Innamorata del Giappone e delle sue tradizioni, pratica diverse arti marziali nipponiche.



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